Via Daniele Petrera, 51/A - 70124 Bari BA

Il vuoto affettivo

Home Il vuoto affettivo
Il vuoto affettivo

Cos’è il vuoto affettivo

Il vuoto affettivo, chiamato comunemente anche vuoto emotivo, è una sensazione nebbiosa e confusa che la maggior parte delle persone ha sperimentato almeno una volta nella propria vita. La percezione che l’individuo ha in risposta al vuoto affettivo è di sentirsi incompleto, inadeguato, insufficiente e non pienamente connesso con se stesso, impotente rispetto al sentimento che prova, poiché non riesce a trovare una soluzione che sia adeguatamente efficace e dipendente dal sentimento di angoscia e minaccia che lo accompagna nel quotidiano. L’angoscia che provoca il sentimento di vuoto è abissale e molto spesso capita di non riuscire a trovare una soluzione che possa essere definitiva nemmeno attraverso la costruzione di una relazione d’amore o attraverso relazioni amicali e/o familiari.

Quando nella mia esperienza clinica, mi capita di ascoltare persone che portano con sé un vuoto affettivo, emerge dai racconti la speranza, fallimentare, di riuscire a colmare il vuoto attraverso una relazione di qualsiasi tipo, attraverso un’attenzione a volte maniacale verso il proprio lavoro, attraverso anche la costruzione di legami invischiati con i propri familiari e, soprattutto, con i propri figli. Tutti i movimenti descritti per cercare di risolvere la sofferenza del vuoto sono vani, tanto che la richiesta della maggior parte delle persone è proprio quella di comprendere da dove nasce la sensazione di vuoto e in che modo si possa colmare definitivamente.

Da dove nasce

Il sentimento di vuoto descritto nel paragrafo precedente ha radici profonde che sono riconducibili al legame che la persona ha sperimentato con la propria famiglia di origine. Quando parlo di legame con la famiglia di origine mi riferisco alla percezione che ognuno di noi ha avuto rispetto a sé durante la propria infanzia. Il bambino, non avendo una struttura cerebrale ed un pensiero maturo tale da riuscire a costruire un pensiero e una percezione di sé e del mondo applicata alla realtà con diverse sfumature, percepisce due sensazioni costanti in relazione alla propria figura di riferimento: impotenza e dipendenza.

Impotenza poiché appunto un bambino non può autogestirsi in autonomia e di conseguenza ha costantemente bisogno di una figura di riferimento che possa “nutrirlo” da tutti i punti di vista con amore e costanza. 

Dipendenza perché, appunto, la relazione che ha il bambino con la propria figura di attaccamento è di sana dipendenza che agevola uno sviluppo ottimale verso l’autonomia. 

L’angoscia di morte

Le circostanze che impediscono questo processo di sana differenziazione dalla propria figura di riferimento, che si conclude con lo svincolo e quindi la completa costruzione di un sé autonomo e adulto, sono principalmente traumatiche e abbracciano una serie di emozioni e vissuti che in psicologia si possono definire con la locuzione “angoscia di morte”.  Quando il bambino non sente l’amore, l’impegno, il piacere che ha la figura di riferimento nello stare a contatto con lui, quando percepisce l’ansia, l’incertezza di avere una base sicura e stabile, si attiva in lui l’angoscia di morte.

L’angoscia di morte, se prolungata nel tempo e se non elaborata attraverso un percorso di riabilitazione dell’identità dell’individuo, attraverso una terapia e/o una presa di consapevolezza adeguata dei propri vissuti di sofferenza e un’attivazione delle proprie risorse finalizzato a ridurre un vuoto che non può essere colmato da nessun altro che non sia il diretto interessato, diventa a lungo andare un vuoto affettivo.

Come si manifesta nella relazione di coppia

Vorrei soffermarmi un attimo su quanto il sentimento di vuoto affettivo incida sul vissuto in coppia di uno o entrambi i coniugi.

Quando accolgo in stanza di terapia la coppia che riporta un vissuto di crisi, quello che esplicito è che la crisi non è altro che una manifestazione sintomatologica di una sofferenza profonda e arcaica. Le difficoltà sessuali, i tradimenti, le incomprensioni tra i due protagonisti, le crisi di coppia susseguite alla nascita dei figli, sono tutte manifestazioni di una difficoltà primitiva che uno o entrambi i coniugi fanno riemergere nella relazione di coppia. 

La crisi nel rapporto di coppia può attivarsi proprio in risposta a un vuoto affettivo, che uno o entrambi “sentono” di avere ma che non riescono a decodificare in modo ottimale, nei confronti della relazione con le figure di riferimento, riversato sulla relazione di coppia.

In altre parole, i coniugi sperano e cercano in modo fallimentare e distruttivo, di riempire il vuoto affettivo nato dalla relazione sofferente con le figure di attaccamento, con la presenza e l’amore del partner. Il nuovo partner deve quindi, a livello inconscio, compensare tutto quello che l’altro non ha ricevuto dalle figure di riferimento principali (mamma e papà), per far sì che la persona che sperimenta il vuoto si possa sentire “amato”, accettato e possa finalmente riabilitare l’idea che fino a quel momento ha avuto di se stesso nel rapporto con il mondo. 

Chi chiede e parla in tutto ciò non è quindi l’adulto che richiede l’attenzione sana ed adeguata per vivere una relazione di coppia, ma è il bambino ferito, che non si è sentito amato, accettato, che si è sentito disconfermato e abbandonato durante l’infanzia e che rivendica una riabilitazione adeguata e sana dell’amore genitoriale. 

Come si struttura il mio supporto

La conseguenza di questa richiesta “delirante” è un fallimento completo e perpetuo da parte dell’altro coniuge che non può e non potrà mai risolvere il vuoto affettivo che l’individuo percepisce causato dalla sofferenza che ha sperimentato durante la sua infanzia. Ecco perché, in molti casi, le persone che accolgo in studio riportano un vuoto affettivo che non viene colmato in nessun modo, ma che spesso viene addirittura alimentato, in modo disfunzionale, dalle relazioni d’amore nate per riempire, in modo fallimentare, il vuoto d’amore del bambino ferito procurato dalla famiglia di origine e che si trasformano la maggior parte delle volte in relazioni in crisi

Il mio lavoro è strutturato in questo modo, aiutando le persone a definirsi in un tempo e in uno spazio reale, come adulti e non come bambini feriti e non amati, allontanando cioè quello che chiamo il “delirio” della parte ferita che ognuno di noi ha, del bambino che rivendica disperatamente l’amore che non ha percepito. L’obiettivo è quindi ridurre quella sensazione di angoscia di morte e di vuoto affettivo che comporta una sofferenza maggiore nel momento in cui non viene colmato con tutti i tentativi fallimentari degli individui, e che rende tutti impotenti di fronte alle difficoltà e dipendenti dal dolore.

Sei alla ricerca di un sostegno psicologico a Bari? Contattami subito!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *